recensioni
"LA
FABBRICA TORNA AL CLASSICO"
di
Marco Montaguti
«Se
lavorassero oggi i Bibiena farebbero dei negozi, delle fabbriche delle architetture
per il terziario».
Ne è fermamente convinto Giambattista Borgonzoni, architetto bolognese
che si definisce «senza fede e lontano da qualsiasi calvinismo architettonico».
Borgonzoni, è figlio di Aldo, noto e battagliero pittore cittadino,
ha da tempo scelto un percorso professionale quanto meno insolito, dedicandosi
alla realizzazione di terziario commerciale in tutta Italia, da Bologna a
Prato alla Sicilia, nella convinzione che «con poche eccezioni oggi,
a causa della prefabbricazione e della deindustrializzazione, nel settore
si stanno affermando molteplici contenitori utilitaristici privi di qualsiasi
comunicazione simbolica; eppure -afferma- storicamente il tema della fabbrica
è sempre stato rilevante, basti ricordare l'esempio eclettico della
Manifattura Tabacchi e, nel dopoguerra, quello razionalista delle Officine
Minganti».
Se Nicolas Gomez Davila critica l'architettura moderna «capace di innalzare capannoni industriali senza riuscire a costruire né palazzi né templi», Borgonzoni vuole invece recuperare le radici dell'architettura e innestarle nella fabbrica con uno storicismo stilistico che sedimenta ancora nell'immaginario collettivo.
Se le simpatie di Borgonzoni vanno al neoclassicismo (non a caso il suo studio in via Belle Arti è stata la casa di Felice Giani, protagonista del neoclassico in regione), le sue realizzazioni si spingono più indietro e lontano, per arrivare al protoclassicismo mediterraneo.
La traduzione di questa concezione la troviamo nella rilettura della fabbrica La Spaziale di Casalecchio di Reno. «Per individuare con buona architettura un'area industriale storica come l'ex Giordani, dove sorge La Spaziale -spiega- ho ideato una scansione caratterizzata da alte semicolonne in mattoni fatti a mano, con finestre e murature in metallo bruno».
Borgonzoni ha realizzato, nel '99, un'altra ristrutturazione di pregio: si tratta dell'ex stabilimento, risalente agli anni '50, della Felicori e Zecchini, trasformato nella sede del Poltronificio Villani. «E' stata -precisa- una interessante occasione microurbanistica, sia per la percezione della struttura, sia per il notevole traffico automobilistico. L'edificio è stato ridotto alle strutture portanti in cemento armato, integralmente rivestite di alluminio metallizzato chiaro. In termini di messaggio aziendale ho pensato ai pochi secondi di transito e quindi di percezione dell'automobilista. Ho quindi trattato questo tema progettuale come un'altra grande auto parcheggiata a lato della via Emilia».